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Antonio Landriscina




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Semplici tecniche per mantenere la disciplina

Ho notato che questa pagina ha avuto successo e me ne dispiaccio. Si tratta di appunti presi inizialmente per me stesso (e poi condivisi scherzosamente con alcuni amici), basati sulla mia passione per paradossi, sorprese ed inversioni situazionali. Ma non mi aspettavo affatto che così tante persone la leggessero e mi contattassero per esprimere le loro difficoltà nella gestione di una classe. Questa paginetta dà per scontate una miriade di cose e di per se stessa non serve assolutamente a nulla, in quanto anche i trucchi presentati vanno sempre adattati al contesto e inseriti in una cornice relazionale che deve essere costruita con saggezza. Insomma, non ci sono scorciatoie al fatto di formarsi una sana competenza pedagogica e psicologica. Non dimentichiamoci anche che la disciplina è la cosa più innaturale che ci sia: i ragazzi dovrebbero poter esprimere produttivamente la loro esuberante creatività, non rimanere fermi ore e ore sui banchi e sui libri. Lo stesso apprendimento dovrebbe essere basato su esperienze, trasformando l'esuberanza in entusiasmo invece che in caos (e non sulla forzata attenzione), e gli insegnanti stessi dovrebbero essere sempre aiutati da scaltri ed esperti supervisori e non abbandonati. D'altro canto, la demonizzazione di qualsiasi principio di autorità (perfino nei rapporti intrafamigliari) visto come imbarazzante retaggio fascista e maschilista ha portato alla scomparsa di questo indispensabile strumento che dovrebbe inculcare il principio di responsabilità e arginare la violenza sempre presente a livello istintivo in ognuno. Ma visto che la direzione del mondo oggi è quella dello sbando e dello sballo, mi dolgo ogni volta che scopro che qualcuno è venuto a leggersi questo inutile scritto.

Ho sperimentato personalmente tutte queste tecniche in classi numerose e composite, costituite da un numero variabile tra i 28 e i 45 ragazzi in età che va dai 6 ai 14 anni.

La materia insegnata era “esercitazioni corali under 14”. La grande differenza di età tra gli studenti ha sempre creato non poche difficoltà in quanto i più piccoli sono naturalmente più docili e accomodanti, mentre gli adolescenti sono più scatenati (particolarmente i maschietti), pertanto è stato molto difficile trovare delle formule didattiche che potessero coinvolgere tutti. Un minimo errore ha sempre portato alla creazione di una grande quantità di caos, pertanto il mio apprendimento è stato enormemente accelerato dal potenziale esplosivo della situazione in cui mi trovavo.

Ho dovuto, quindi, armarmi di tecniche idonee a gestire la disciplina, visto che quest'ultima non può essere ottenuta solo con esortazioni o prescrizioni. Anzi, questi vecchi e obsoleti metodi spesso ottengono l'effetto opposto.

Sia ben chiaro che quello che mi sono proposto di ottenere era solo quella disciplina minima che mi permettesse di lavorare, non mi sono mai proposto di ottenere la compostezza di una caserma prussiana, cosa che sarebbe stata contraria di per se stessa, a qualsiasi principio educativo.

Le tecniche che ho escogitato sono numerose in quanto sono stato costretto a cambiarle continuamente: se si usa più volte consecutive lo stesso approccio questo ultimo si banalizza e, assieme all'effetto sorpresa, perde anche la sua validità. Pertanto ho sempre dovuto usarle in continua rotazione, cosa che ha creato un ulteriore fattore di imprevedibilità che di per se stesso crea attenzione e quindi aiuta a mantenere la disciplina.

Tutte queste tecniche raramente hanno funzionato al primo colpo: è sempre stata necessaria una messa a punto, che è consistita generalmente sia nell'imparare a essere più realistico e naturale, praticamente nel saper “recitare” convincentemente la parte, sia nel costruire, con un po' di fantasia, delle “cornici” situazionali idonee al funzionamento di questi metodi.

Infine una osservazione più generale: l'indisciplina è quasi sempre un mezzo con cui i ragazzi riempiono dei vuoti lasciati dall'insegnante. Ho notato che tanto più la lezione è partecipativa e interattiva tanto meno la disciplina rappresenta un problema, mentre quando si tiene una lezione di tipo frontale la indisciplina e la disattenzione sono problemi primari. Non è sempre possibile né è sempre produttivo eliminare totalmente dall'insegnamento la trasmissione frontale, tuttavia questo va comunque contenuto entro i limiti di accettabilità e di attenzione, che nel caso di bambini e adolescenti sono estremamente esigui.

Pieni e vuoti

Innanzitutto se si vuole ottenere disciplina bisogna pensare anche a dove mettere l'indisciplina. Una pura attività di repressione creerebbe l'effetto contrario, causando la possibilità che l'indisciplina esploda in maniera feroce e incontrollabile al primo avviso di cedimento da parte del docente.

La soluzione che ho trovato ideale è quella di alternare, all'interno del tempo di lezione, momenti di concentrazione con momenti di “rilassamento” (possiamo chiamarlo caos controllato), in questa maniera l' “entropia”, il bisogno di sfogo dei ragazzi più vivaci, può trovare degli spazi idonei e ben definiti senza dovere invadere sempre tutti gli altri spazi esistenti. Inoltre questa alternanza mi ha permesso di rispettare i tempi di attenzione dei ragazzi, che sono solitamente brevi (cerco di non superare mai i 20 minuti consecutivi), senza fare delle forzature.

Se anche l'indisciplina e la vivacità hanno diritto di cittadinanza nella classe, anzi hanno un loro spazio idoneo (pur se controllato) è più facile instaurare un rapporto di fiducia con i ragazzi ed è più facile ottenere attenzione e concentrazione nei momenti idonei.

La rapidità

La prima cosa che ho imparato, a mie spese, come avviene per tutti gli apprendimenti importanti, è quello di agire rapidamente: appena i ragazzi hanno terminato una attività prescritta immediatamente dare subito corso alla successiva. L' importanza di non lasciare spazi vuoti è dovuta al fatto che proprio in tali spazi si crea la voglia di fare caos. Occorre pertanto essere estremamente rapidi e pressanti per non lasciare pericolosi tempi morti, che generano disattenzione e noia. Tutto questo va comunque inserito nella cornice di un tempo di attenzione totale (di cui ho parlato precedentemente) che non va superato. Per lavorare a ritmo molto serrato occorre, ovviamente, una grande pianificazione della lezione e una grande sicurezza di se. La rapidità è la prima e la più importante delle tecniche: senza una sufficiente rapidità ho scoperto che nient'altro può funzionare.

Tecnica prossemica

Individuati i ragazzi che fanno più disturbo mi metto vicinissimo a loro, ad una distanza minima che crei fastidio (10 - 15 centimetri). Oppure mi siedo su di una seggiola adiacente alle persone più agitate sorridendo e fissandole negli occhi. Basta mantenere questa situazione per alcuni minuti e ripeterla periodicamente all'occorrenza per dare dei chiari segnali e per cambiare le situazioni. Questa è una tecnica basata su un approccio non verbale che spezza gli schemi e mette i ragazzi più scalmanati in una situazione di imbarazzo non dichiarato, pertanto ancora più sottile. Ho notato che l'accorciare drasticamente le distanza, a volte, crea una tensione tale che alcuni ragazzi vivono questa situazione come gravemente punitiva. Occorre pertanto essere sensibili e attenti a quello che succede ed essere pronti a cambiare atteggiamento.

Il silenzio

Anche questa è una tecnica non verbale. Quando un ragazzo si mette a fare disturbo lo fisso negli occhi e mi metto in totale silenzio, in maniera da creare una grossa tensione emotiva.

Cerco di rimanere impassibile, senza essere né sorridente né severo e rimango in questa situazione per un breve tempo (non oltre un minuto, se si esagera si creano reazioni opposte).

La tensione che si crea mi permette di cambiare completamente lo stato delle cose creando una auto-correzione dello studente.

Se il ragazzo assume toni di sfida o atteggiamenti narcisistici la tecnica diventa controproducente, in tal caso occorre utilizzare le tecniche paradossali.

La voce sussurrante

Questo è un sistema vecchissimo ma funziona perfettamente. I momenti di indisciplina sono caratterizzati da chiasso e dell'aumento di volume della voce, principalmente di quella dell'insegnante che cerca di sovrastare il chiasso.

Se si capovolge questa situazione si spezzano gli schemi: in tal caso l'insegnante cerca di parlare più piano del rumore che costituisce il disturbo. In questo caso lo studente indisciplinato si troverà a “forare” il volume di suono dell'insegnante e generalmente saranno proprio i suoi compagni di classe che se la prenderanno con lui chiedendogli di fare silenzio.

Cambio di disposizione

Il sistema è vecchissimo e banale, tuttavia la sua efficacia è ben nota. Normalmente una situazione di indisciplina è caratterizzata dalla vicinanza di alcuni individui con altri. Anche se uno solo fosse l'indisciplinato, ha sempre bisogno di interlocutori o di spettatori stabili, che gli diano soddisfazione, sicurezza e senso di complicità. Spostare geograficamente gli studenti (inventandosi una motivazione fantasiosa che può essere a sua volta un ulteriore elemento spiazzante) spezza questo schema sociale e mette i ragazzi più irrequieti lontani dal loro “pubblico” o dai loro interlocutori abituali.

Paradosso dell'inversione dei ruoli

Individuata la persona più agitata di tutto il gruppo chiedo a questa persona di aiutarmi a mantenere la disciplina alla classe, mettendosi seduto vicino a me e capovolgendo il rapporto insegnante-allievo. Se il più indisciplinato è il responsabile della disciplina, si crea un effetto paradossale che può ribaltare la situazione. Ovviamente ogni momento di caos sarà occasione di protestare con lui, che è il responsabile della disciplina. Con questo sistema ho ottenuto perfino effetti durevoli nel tempo, perché vivere tale paradosso è estremamente imbarazzante. Attenzione ad una importante controindicazione: se lo studente ha forti comportamenti narcisistici il sistema fallisce perché gli si fornisce un ottimo pretesto per fare spettacolo da protagonista.

Chiedere consiglio

Questo metodo è una variante del precedente. Invece di chiedere al discente di tenere la disciplina, gli chiedo dei consigli su come fare. Questa richiesta lo costringe a calarsi per un momento nel ruolo opposto, quello dell'insegnante, e questo lo porta allo sviluppo di una maggior ragionevolezza. Molto spesso, poi, i consigli ricevuti, sono un ottimo sistema per diagnosticare le tensioni interne alla classe, capire quali sono stati gli eventi che hanno scatenato l'indisciplina e altre preziosissime informazioni delle quali occorre tenere gran conto. Occorre comunque incalzarlo e incoraggiarlo con continue domande, per evitare che si fermi ad una rispostina evasiva. Visto che il chiedere consiglio porta l'interlocutore ad una grande gratificazione dell'io, normalmente questo crea un senso di alleanza con l'insegnante e di gratificazione personale, senza tenere conto del profondo senso di responsabilizzazione che ne nasce.

Paradosso dell'inversione della situazione

Anche questo metodo è vecchissimo, ma la sua efficacia non è per questo diminuita. Quando uno studente si metta a chiacchierare con un altro, lo supplico di raccontare quello che sta raccontando a me e a tutta la classe, visto che sicuramente quello che sta dicendo durante la lezione probabilmente più importante della mia lezione. Cerco di essere supplichevole e convincente, non mi fermo a rispostine evasive, lo incalzo con domande su domande e non gli lascio la minima possibilità di cavarsela con poco. Praticamente lo assedio di domande dimostrando morbosa curiosità per tutto quello che lui dice e insaziabilità alle sue risposte. Per usare questo sistema occorre una dialettica prontissima e una buona capacità di recitazione. Il paradosso consiste nel fatto che invece di evitare che il ragazzo chiacchieri, lo costringo a tutti i costi a farlo ad alta voce, togliendo quindi il gusto di farlo perché tutto ciò che si fa per imposizione si fa malvolentieri e inoltre privandolo del gusto del segreto e del proibito, visto che deve raccontare tutto a tutti.

Ristrutturazione paradossale

Quando un allievo disturba io creo un perché e lo spiego a tutta la classe. Per esempio dico che questo ragazzo ha un compito troppo gravoso e non riesce a sopportarlo (nel caso di un soggetto un po' spaccone), pertanto prego tutti compagni di classe di essere comprensivi con lui e con le sue difficoltà. Il perché è ovviamente fittizio ed inventato, e lo progetto cercando di capire quale sia la scala di valori del discente. Il ragazzo oggetto della ristrutturazione si sente svilito e reagisce invertendo suo comportamento, visto che ogni sua azione di disturbo andrebbe a confermare la situazione alla quale l'ho vincolato. Questa tecnica è di una potenza enorme e ottiene risultati persistenti nel tempo. Tuttavia occorre progettarla con grande accuratezza, visto che se il perché che io creo è una cosa poco importante nella gerarchia di valori del discente, l'effetto sarà nullo ed io avrò sprecato una occasione.

Doppio legame ristrutturante

E' imparentato con la tecnica precedente e fa sempre uso della sottile arte del paradosso terapeutico. E' una tecnica molto potente che, se amplificata dalla cassa di risonanza costituita dal gruppo dei compagni di scuola, può avere perfino effetti eccessivi. Pertanto va utilizzata con controllo, pronti ad intervenire se l'effetto fosse esagerato. Esempio di utilizzo: mi rivolgo allo studente più indisciplinato e gli dico con tono entusiasta ma serio: “Mi fa piacere vederti così spumeggiante, esuberante pieno di gioia: è evidente che quello che sto dicendo ti manda in visibilio e che pendi letteralmente dalle mie labbra!”. L'effetto di questa tecnica è lo stesso del nodo scorsoio: più l'individuo si agita più il doppio legame a cui l'ho annodato si stringe, e alla fine“ pende letteralmente dalle mie labbra.

Eccesso di protezione

Ecco un'altra variante di ristrutturazione paradossale. Questa tecnica è da usarsi solo in situazioni estreme, in cui un singolo studente sia incontenibile e crei dei seri problemi per la gestione dell'intera classe. Prima di utilizzarla occorre essere certi di avere già tentato tutte le altre, visto che questa ha specifici effetti collaterali e non può assolutamente essere usata a cuor leggero.

Comincio ad utilizzare un eccesso di tutela nei confronti dello studente scalmanato, una protezione volutamente soffocante; per ogni cosa che faccio mi sincero premurosamente che lui segua e che stia capendo, gli dichiaro che a costo di rimanere in aula un'ora in più, non lo abbandonerò mai e non smetterò di seguirlo fin che lui non avrà capito e seguito nei minimi particolari tutto quello che viene fatto. Assumo un tono materno e simbiotico e talvolta rimango in aula con lui dopo la fine della lezione esagerando nel volergli spiegare tutto nei minimi dettagli fino alla nausea. Ogni volta che questo studente cerca di disturbare occorre diventare ancora più materno e dichiaro a tutti che lui sta comportandosi così perché finora non l'ho sufficientemente seguito, che è tutta colpa mia, ma che d'ora in poi lo seguirò come lui merita. Questo eccesso di premure, portato all'estremo, gettano il discente nel paradosso che più vuole primeggiare, più primeggia, ma non nelle attenzioni da parte dei suoi compagni, bensì in quelle da parte dell'insegnante, cosa che lui vorrebbe proprio evitare, mentre i suoi compagni invece di ammirarlo sbuffano e si annoiano.

Presupposti positivi

Questa tecnica necessita della profonda conoscenza dell'arte del presupposto e delle tecniche della comunicazione efficace. Se io dico “state attenti!”, il presupposto è “voi siete distratti” (cioè il contrario dell'obbiettivo che mi prefiggo), mentre la codifica VUCO1) può essere sia in sincrono sia in paradosso. Orbene, mentre non posso intervenire minimamente nella codifica VUCO, che per sua natura è sempre differente per ciascuno, posso intervenire però sul presupposto usandolo in termini positivi. Esempio: “E' bello vedervi così attenti, così riusciamo a lavorare meglio”. In tal caso le reazioni sono: o il presupposto agisce direttamente, in tal caso ottengo il mio scopo, oppure il presupposto crea uno stato di paradosso, cioè a fronte di un grande caos che si era creato tutti rimangono colpiti dalla mia affermazione e/o si mettono a ridere. Se rimangono colpiti, ho raggiunto l'obiettivo di spezzare uno schema, e quindi ottengo un cambiamento automatico dell'atteggiamento, se tutti ridono ottengo un effetto paradosso. E' noto che il paradosso è un evento paralizzante. In molti casi paralizza l'indisciplina. Anche se il metodo non funziona sempre (il suo impiego ottimale è quando lo adotto ripetitivamente) ottiene risultati buoni nella maggioranza dei casi).

Cornice relazionale

Dopo averne detto tutto il male possibile, a buon diritto, è anche l'occasione di rivalutare il più obsoleto metodo di ottenere la disciplina, esortazioni e prescrizioni. Specificando che questi sistemi sono controproducenti in tutti i contesti dove ci sia anche un minimo di reattività. Ma la reattività non è un dogma: molto spesso i ragazzi più piccoli (fino ai 10 anni) non sono affatto reattivi, a meno che non vengano ad esserlo spinti dal contesto. Quando ho a che fare con ragazzi molto piccoli, invece di lavorare su tecniche particolari di disciplina, lavoro sul contesto, sulla cornice relazionale. Se questa è perfetta, cioè basata sia sul ricalco che sull'adeguamento alla figura accudiente interiorizzata (facendo anche attenzione a non superare mai il tempo limite dell'attenzione!), allora il risultato finale sarà che… non occorre fare nulla per mantenere la disciplina. Ma, nei rarissimi casi in cui occorresse fare qualcosa, allora anche esortazioni e prescrizioni otterrebbero ottimi risultati.


Indice

1)
VUCO significa Visuale - Uditiva - Cenestesica - Olfattiva. Si tratta di definizioni tratte dalla PNL, Programmazione Neuro Linguistica e si riferiscono alle informazioni prime che vengono elaborate dal cervello umano, di cui tutte le altre sono dei derivati tramite il processo dell'astrazione.
opere/mantenere_la_disciplina.txt · Ultima modifica: 2020/06/05 08:32 (modifica esterna)