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Antonio Landriscina




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opere:orologi_meccanici

Musiche per orologi meccanici

Strumenti musicali insoliti

La standardizzazione degli strumenti musicali che oggi osserviamo è il punto di arrivo di una laboriosa evoluzione difficilmente immaginabile, ogni strumento che oggi sentiamo suonare è frutto di innumerevoli prove e fallimenti, di creatività, di passione e sperimentazione.

Possiamo paragonare l'evoluzione degli strumenti musicali all'evoluzione delle speci viventi secondo la teoria Darwiniana: le mutazioni prodotte dagli artigiani costruttori sono state accolte o meno dai musicisti compositori ed esecutori; alcune mutazioni hanno sopraffatto altre, alcuni strumenti hanno soppiantato altri, ne hanno invaso l'ecosistema culturale in cui operavano, altri hanno trovato una loro nicchia ecologica; insomma, i paragoni con la biologia sono veramente numerosi.

Molti strumenti sono stati abbandonati da costruttori, esecutori e compositori al culmine di una gloriosa evoluzione che li aveva dotati pure di splendidi repertori: sono spariti dalla circolazione, solo per fare dei piccoli esempi, l'Hammerklavier, per cui Beethoven scrisse la celebre sonata, il Baryton, lo strumento preferito dal principe Nikolaus Esterhazy per il quale Haydn scrisse così tanta musica, la Lira organizzata, strumento preferito da Ferdinando IV di Borbone, per il quale sempre Haydn scrisse sei magnifici concerti, l'Arpeggione, per il quale Schubert scrisse l'immortale sonata, e così via.

Gli automi musicali

Tra i tanti strumenti oggi in disuso ci sono gli automi musicali, strumenti appartenenti a differenti tipologie organologiche ma accomunati dal fatto di suonare automaticamente dei brani musicali senza bisogno di un esecutore. Questa caratteristica è particolarmente interessante dal punto di vista filosofico, perché la possibilità del compositore di rivolgersi direttamente al pubblico senza il tramite dell'interprete è stata al centro di un immenso dibattito nella prima metà del '900 ed è stata alla base della nascita della musica elettronica.

Gli automi musicali hanno storia antichissima. Da un racconto del 206 A.C. veniamo a sapere che nel tesoro dell'Imperatore Ch'in Shih Huang t'i, il fondatore dell'impero cinese, c'era un'orchestra formate da dodici statuette di bronzo vestite di seta a fiori che suonavano strumenti musicali a fiato, a pizzico e a corde percosse; le statuette erano poggiate su di un piedistallo sotto il quale c'era una corda ed un tubo vuoto: tirando la prima e soffiando nel secondo le statuette si mettevano a suonare. Abbiamo testimonianze di automi musicali in molte civiltà antiche, come l'India, il mondo islamico, la civiltà Alessandrina (il celebre Ctesibio di Alessandria costruì alcuni dei primi orologi musicali della storia basandosi su meccanismi idraulici) e il medioevo europeo (andarono molto in voga soprattutto i carillons di campane di cui i più famosi sono quello di Bruges con 49 campane e, da un punto di vista più simbolico, i Mori del Palazzo Ducale di Venezia). Dal medioevo in poi l'uso generalizzato dei cilindri fonotattici (cilindri muniti di camme che permettevano di azionare ogni tipo valvole) diede un grande vigore alla costruzione di automi musicali, che furono sempre più complessi.

Ma il periodo d'oro di questi strumenti fu l'Illuminismo, che vide nei prodigi della meccanica, e quindi soprattutto negli automi, un trionfo della ragione umana. E proprio in questo periodo nacque il più grande genio degli automi di tutti i tempi: Jacques Vaucanson (1709 - 1782) che inventò tutto l'inventabile nel campo degli automatismi meccanici e costruì automi che rappresentano ancora oggi la summa dell'arte; tra questi va ricordato il celebre flautista, che suonava dodici sonate diverse su di un vero flauto muovendo la lingua, le labbra e le dita e variando la pressione dell'aria su ogni singola nota, praticamente emulava la fisiologia di un flautista in carne ed ossa.

Pure molto importanti nella storia della musica furono i fratelli Johann Nepomuk e Leonard Maelzel, inventori e costruttori di automi musicali, molto amici di Beethoven. Il primo costruì la Orpheusharmonie, cioè una Glasharmonica a tastiera dell'estensione di 5 ottave per la quale Beethoven scrisse le musiche di scena per la “Leonore Prohaska” di Fr. Dunker, il secondo inventò nel 1803 la Panharmonica, gigantesca macchina musicale che simula l'orchestra, per la quale Beethoven compose Wellington Sieg oder die Schlacht bei Vittoria, brano che, in seguito, riscrisse per orchestra. Tuttavia il nome di Johann Nepomuk Maelzel, oltre che per l'invenzione del cornetto acustico, fu estremamente famoso per l'unica invenzione totalmente usurpata: il metronomo. Questo era stato già ideato teoricamente da Thomas Mace nel 1676, perfezionato da Stefano Loullié e rielaborato nella sua forma definitiva a doppio pendolo dall'orologiaio di Amsterdam D. N. Winkel, che intentò e vinse una causa contro Maelzel, il quale, tuttavia, continuò a godere della fama e dei benefici economici dell'invenzione.

Nel periodo dei classici viennesi, gli automi più interessanti erano la Spieluhr e l'Orgelwalze; la differenza fra i due era solo nell'utilizzo e non nella fabbricazione. L'automa musicale “puro” era l'Orgelwalze, ma se veniva azionato al battere dell'ora da un orologio si chiamava Spieluhr. A volte la macchina si chiamava solo e semplicemente Laufwerk, e, se disponeva di un unico registro prendeva il nome da questo (Hornwerk, Harfenuhr, Flötenuhr). I cilindri fonotattici (muniti di chiodi, tacchette, camme o scanalature) che azionavano i meccanismi di produzione del suono potevano essere numerosi all'interno di uno stesso automa (molte Spieluhren suonavano un pezzo diverso ad ogni ora) o potevano avere i cilindri intercambiabili, disponendo di una vasta libreria di brani. Grazie all'invenzione di Vaucanson del cilindro a spirale, i brani intercambiabili potevano pure avere lunghezza differente. Questi strumenti, non erano affatto dei banali carillons, ma erano strumenti complessi, con numerosi registri e con delle enormi possibilità foniche. Erano delle macchine che dovevano stupire, incantare, e quindi erano costruite senza economia di artifici e di denaro.

I classici viennesi e gli automi

Tra i numerosi punti di contatto che gli studiosi hanno riscontrato tra Haydn, Mozart e Beethoven, uno dei meno conosciuti è senz'altro quello degli automi musicali. Tutti e tre scrissero numerosi brani per automi, su commissione probabilmente dello stesso oscuro personaggio, il Conte Joseph Deym von Stritetz il quale, avendo ucciso un avversario in duello, sembra che sia provvisoriamente fuggito all'estero e in seguito rientrato in patria sotto falso nome, banalmente facendosi chiamare Müller (inflazionato in Austria come il cognome Rossi in Italia e Smith in Inghilterra). A sua volta Deym/Müller faceva realizzare gli automi ad un interessante personaggio: Primitivus Niemecz, frate dell'ordine degli Erbarmherzige Brüder che era, oltre che meccanico provetto, bibliotecario in casa Esterhazy.

Di tutte queste musiche sono rimasti i manoscritti, mentre gli automi che li implementavano sono andati in gran parte perduti oppure sono inservibili e non compiutamente restaurabili. Non potendo, quindi, ascoltare queste composizione sugli strumenti originali, mi sono posto il problema di come fruirne comunque.

Le possibilità che abbiamo sono le seguenti:

  1. Eseguire questi pezzi su di uno strumento polifonico a tastiera (pianoforte, organo). È la cosa che viene più frequentemente effettuata ma non sempre è l'ideale. Per esempio le composizioni di Mozart sono frequentemente eseguite sull'organo, ma non essendo state concepite per questo strumento (l'Orgelwalze non è propriamente un organo) costringono a dei compromessi sia in termini di note che di tempi che fanno perdere di vista anche il carattere dei pezzi. Per esempio, la parte centrale del KV 594 di Mozart è l'evocazione di una battaglia, con tanto di sciabole che si incrociano, cannonate, squilli di trombe e tamburi: tutte le esecuzioni che ho sentito all'organo liturgico suscitano impressioni lontanissime dalla scena di battaglia, sia per la peculiarità dello strumento stesso che manca dei registri adatti, sia per la difficoltà manuale di suonare a un tempo così rapido una composizione polifonicamente così complessa.
  2. Trascrivere questi brani per delle formazioni musicali da camera. Il lavoro diviene più creativo e si possono ottenere infiniti risultati. Ho seguito questa strada e ho realizzato numerose trascrizioni per differenti organici.
  3. Realizzare questi brani per gli automi musicali dei nostri giorni, che sono gli strumenti elettronici. Questa opzione è un po' come suonare Il clavicembalo ben temperato sul pianoforte: non è filologicamente corretto ma consacrato dall'uso e, soprattutto, non richiede nessun compromesso. Soprattutto perché con gli strumenti elettronici tutto è possibile, e quindi gli unici limiti sono posti dalla fantasia e dall'abilità degli operatori.

Le mie strumentazioni

Io ho seguito sia la seconda che la terza delle possibilità qui esposte. Ho trascritto alcune di queste musiche per varie formazioni da camera, sia per settimino/ottetto fiati e pianoforte, sia per quartetto a percussioni

Ho, inoltre, fatto una serie di realizzazioni di queste musiche per strumenti elettronici, assieme a Stefano Mazzavillani, strumentazioni che potete reperire:


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opere/orologi_meccanici.txt · Ultima modifica: 2020/06/05 08:32 (modifica esterna)