Se il sentire dei cittadini è in conflitto con lo stato

“Yankee Doodle”, or “The Spirit of ’76” (A.M. Willard)

Da quando il mondo è mondo le leggi e le regole sono state basate sulle idee di chi comanda, il quale, per giustificare le proprie imposizioni, ha sempre fatto ricorso a garanti estremamente altolocati, generalmente il volere divino e, in climi un po’ più laici, il volere del popolo.

Se i metodi di consultazione di Dio hanno sempre lasciato molto a desiderare, anche per quanto riguarda il popolo le consultazioni avvengono tramite rituali che hanno lo scopo implicito di confermare il volere del consultante (vedi la legge elettorale detta porcellum, che tutti vorrebbero cambiare ma che nessuno realmente tocca).

Dalle rivoluzioni Americana e Francese, i cittadini hanno sempre di più reclamato un ruolo attivo nelle scelte della politica e non solo il ruolo di eterne mucche da mungere (ricordate il motto no taxation without representation che diede origine alla Rivoluzione Americana?).

Fatto sta che la sensibilità dei popoli evolve con il tempo: temi come i diritti umani, l’ecologia, i diritti degli omosessuali, l’abolizione della pena di morte, il controllo delle armi e molti altri, sono temi recenti e importantissimi, che i nostri nonni ignoravano completamente e, in qualche caso, deridevano.

Ci sono delle azioni perfettamente legali, costituzionali e permesse che sono, nel contempo, spregevoli, ripugnanti e inaccettabili, azioni contro le quali la suscettibilità dei cittadini aumenta sempre di più fino a trasformarsi in rabbia ed odio cieco e che rischiano, se questa suscettibilità viene sottovalutata, di sfociare in comportamenti violenti.

Oggi stiamo assistendo ad un crollo dei vecchi sistemi, con dei politici educati al vecchio stile che continuano imperterriti a fare quello che hanno sempre fatto contro i cittadini imbestialiti che vorrebbero farne piazza pulita.

Gli immensi privilegi di cui gli uomini che comandano hanno sempre goduto, che servivano come simbolo e distintivo per definire gradi e gerarchie, oggi sono considerati assurdi e inaccettabili anche da coloro che, pochi anni fa, di fronte a tali ostentazioni, si inchinavano con reverenza e piaggeria.

Ma i cambiamenti degli ultimi tempi sono immensi, perché la maggiore circolazione di idee e di persone e, soprattutto, il dibattito continuo su scala mondale che avviene grazie ad internet, hanno portato alla ribalta, da parte dei cittadini, nuove sensibilità e nuove richieste, di cui gli odierni amministratori, appartenenti a generazioni e a culture basate sul localismo e sulla diffidenza per le novità (non solo tecnologiche), sono completamente digiuni.

Nessuno riesce ad accettare che una buona idea proposta ieri in Giappone o in Messico non possa venire applicata qui ed ora in Italia; ci confrontiamo quotidianamente con altri paesi, ci sentiamo parte di una politica globale dove, per esempio, l’influenza di Google o di Gazprom incide sulle nostre vite molto più della politica della Fiat o della Finmeccanica.

Ma i vecchi politici non capiscono questo, si appellano al fatto che tutto deve essere filtrato da leggi, regolamenti e procedure che hanno come obiettivo molto più il mantenimento di ogni status quo che la regolamentazione dei diritti dei cittadini.

La bomba è già esplosa, e con fragore, creando una vistosa scollatura tra paese legale e paese reale.

Per esempio: è immorale chiedere ai cittadini di pagare tasse oltre il 50% dei loro redditi, perché questo comportamento è di tipo schiavistico (se vogliamo chiamarla rapina le cose non cambiano), e ci sentiamo fare anche le crociate sulla tolleranza zero e sul fatto che ora potranno venire confiscati stipendi e pensioni per intero e non solo per un quinto come era prima. Eppure tutto questo è legale, e i politici si meravigliano delle critiche feroci e le attribuiscono ad acrimonia partitica o a sobillatori fanfaroni.

Purtroppo, coloro che, tuttora, si buttano in politica, sono mossi dall’appartenenza a caste e gruppi di interessi che vogliono perpetuare i loro privilegi, e che necessitano imprescindibilmente del mantenimento dello status quo, della elefantiasi legislativa, dell’intoccabilità delle regole e dei diritti acquisiti. Nell’aspirante politico prevale quasi sempre la capacità di imporre e di contrastare rispetto alla capacità di comprendere e ascoltare, e questo è un problema immenso, al momento attuale irrisolto.

Se da una parte c’è un paese politico che si dichiara legale, dall’altra parte i cittadini lo dichiarano immorale. È immorale, per esempio, il finanziamento pubblico dei partiti come avviene da noi, eppure è legale, perché i risultati di un referendum plebiscitario possono essere legalmente capovolti dal parlamento. Ci sentiamo sempre dire che la Repubblica è parlamentare, che il parlamento è il luogo della democrazia, eppure vediamo ogni giorno che il parlamento è il luogo dove le richieste dei cittadini vengono ogni giorno deluse, e i suoi sacerdoti sono interamente votati al vecchio rito di impallinarsi tra fazioni o rafforzare i propri poteri di casta, invece di occuparsi dei cittadini e del buon funzionamento dello Stato.

Mentre la tensione e la rabbia del paese reale sta salendo alle stelle, mentre la povertà e la disoccupazione aumentano, i servizi dello Stato diminuiscono e peggiorano e i cittadini si sentono sempre di più presi in giro, i sacerdoti del parlamento officiano i loro stanchi riti, inutili e incomprensibili, lamentandosi di non venire capiti, proprio loro che rispettano le regole.

Ormai la tensione dei cittadini ha superato anche l’antipolitica e la politica del “vaffanculo”: ormai siamo prossimi allo scontro frontale cittadini – stato.

Finora lo scontro è stato sul piano verbale e nelle manifestazioni di piazza, ma non mi meraviglierei che prendesse anche altre strade meno eleganti.

Anche perché in questo momento l’unica speranza è nel distruggere; quando il marcio supera un certo livello è impensabile immaginare recuperi e ristrutturazioni: solo ruspe e bulldozer possono portare boccate di ossigeno, perché i ruderi vecchi e fatiscenti non permettono di costruire nulla di nuovo o di funzionante.

Speriamo, ovviamente, che le ruspe siano ruspe e non esplosivi.