Visto che l’eBook è una ancora cosa parzialmente nuova, come tale è subissata da critiche feroci e spesso ingiustificate. Pertanto questo scritto serve per sfatare i miti senza ignorare i pericoli.
Chi mi conosce sa quanto io ami i libri, di che ampiezza sia la mia biblioteca personale e quanto io abbia passato la mia vita nell’odore dei libri e degli inchiostri, nel carezzare pagine e copertine, tuttavia mi sono convertito al futuro.
Se analizziamo bene, il libro cartaceo ci piace perché ci siamo abituati, e perché ne amiamo il tatto, l’odore, il fruscio delle pagine. Tanto da considerarlo un prodotto “naturale”, perché lo conosciamo da bambini. Ma dietro il libro cartaceo c’è un mare di tecnologia alle spalle: tecnologia informatica per l’impaginazione – che è simile anche per l’eBook – tecnologia di stampa, sofisticatissima basata su meccanica, elettronica e chimica, e tecnologia per la fabbricazione della carta. Paradossalmente, l’eBook è molto meno tecnologico del libro stampato. Continua a leggere→
In un’epoca eticamente così barbara, nella quale i costi per la cultura vengono ridicolizzati come sprechi, è molto importante che i professionisti della cultura stiano attenti a non prestare il destro a facili denigrazioni o, ancora peggio, a diventare ispiratori e fomentatori di sanguinose critiche.
Purtroppo il sindacalismo italiano, incapace di rinnovarsi, di dialogare, di contribuire alla creazione di nuovo lavoro, ama molto mostrare i propri flaccidi muscoli facendo l’unica cosa che ha sempre fatto compulsivamente: indire scioperi. Sullo sciopero ho già scritto un post, ma lo sciopero delle orchestre d’opera ha dei risvolti differenti e più subdoli.
Le orchestre degli enti lirici, innanzitutto, scioperano nel momento di massima visibilità, durante le prime o quando gli artisti sono di grande fama. Non c’è un’inaugurazione di stagione lirica negli ultimo 20 anni per la quale non sia stato minacciato uno sciopero; purtroppo tali minacce si sono spesso concretizzate e abbiamo assistito a decine e decine di rappresentazioni d’opera fatte al pianoforte; insomma: più lo spettacolo è importante più abbiamo probabilità di vedere vuoti i leggii. Ma è proprio questa visibilità che si ritorce contro.
Celebre la Traviata alla Scala dove il pianoforte fu suonato da Muti stesso, ma numerosi enti lirici, Bologna e Genova in prima fila, hanno brillato nella quantità di esecuzioni pianistiche.
Tempo fa andai a Napoli per sentire un brillante allestimento al Teatro S. Carlo e ascoltai la recita suonata al pianoforte, per l’ennesimo sciopero dell’orchestra. Mi arrabbiai veramente tantissimo, perché da Udine ero andato fino a Venezia per prendere l’aereo e avevo pagato due notti d’albergo per non perdermi quello spettacolo. E quella sera sentii la voce e la rabbia di turisti che venivano da molto più lontano. Da allora ho deciso che l’aereo per sentire un’opera lo prenderò solo se l’opera è all’estero, e so di non essere il solo ad essere animato da questa filosofia.
Eppure la recita fu un successone, come fu un successone la Traviata scaligera suonata da Muti e furono successoni le opere suonate al pianoforte da meno blasonati – ma bravissimi – musicisti a Genova e a Bologna.
Proprio questo successo è il problema. Il messaggio che viene dato ad ogni sciopero è: l’orchestra non serve a nulla, il pianoforte sostituisce egregiamente, è sempre puntuale in scena, si possono risparmiare cifre ragguardevoli. E poi chi ce lo fa fare di pagare un’orchestra tutto l’anno, quando ci sono tante orchestre free lance molto meno costose e, quando le cose vanno male, si può pure ricorrere al pianoforte, tanto per il grande pubblico è sempre lo stesso?
Se il pubblico sa che l’orchestra sciopera già all’inaugurazione, difficilmente comprerà i biglietti per l’abbonamento (gli unici che diano respiro finanziario agli enti lirici) e gli sponsor faranno a gara per tirarsi indietro. Questo è il motivo per cui non sentirete mai che in Germania, Austria o Inghilterra le orchestre scioperano, anzi, gli scioperi di orchestre sono una specialità unicamente italiana, che non ha riscontri altrove.
Nei paesi evoluti, gli orchestrali difendono il loro posto di lavoro suonando, e le rimostranze sindacali le esternano nelle mille maniere che vengono in mente a chi non si sia fossilizzato sul chiodo fisso del nostro sindacalismo paleozoico, convinto che nulla esiste al di fuori dello sciopero.
I cittadini non sanno come si chiama il sovraintendente o il direttore artistico, non hanno idea di quali sono le beghe – troppo spesso puntigliose e stupide – che hanno portato ad incrociare le braccia, ma sanno benissimo che le orchestre italiane tirano buche, sanno che spesso non suonano, che non c’è da fidarsi, che in Italia il turismo culturale è una inimmaginabile follia. Io non ricordo – anzi, non l’ho mai saputo – perché l’orchestra partenopea quella sera fece sciopero né chi erano gli amministratori pro tempore del teatro. Ricordo solo la rabbia e la delusione. Ricordo di avere riflettuto come l’ascoltatore è quello che non conta niente, quello a cui nessuno pensa, quello a cui si pretende che paghi salatissimi biglietti, che faccia viaggi e sacrifici, ma a lui non si garantisce assolutamente nulla, visto che l’eventuale rimborso di un biglietto non copre né le spese di viaggio né – e questo è molto peggio – la delusione.
Troppi musicisti considerano il pubblico come un diritto, come una vacca da mungere, come una massa di inferiori a cui esigere, dall’alto della propria altezzosità, apprezzamento e ammirazione. Al pubblico ci deve pensare la politica, il sovrintendente, il direttore artistico, i musicisti pensano alle tariffe degli straordinari o all’indennità di trasferta. Vengono sfiorati da qualche riflessione solo quando la catastrofe economica è già avvenuta. Solo allora capiscono che l’ascoltatore è l’unico motivo del loro lavoro, che è una conquista mai certa e mai scontata, che deve essere sia amato che capito, e che per farlo bisogna mettersi nei suoi panni (è rarissimo, per esempio, vedere musicisti di professione seduti come pubblico ad ascoltare un concerto).
Queste cose andrebbero capite prima che chiuda l’ultimo teatro e venga licenziata l’ultima orchestra. Dopo è troppo tardi, ma quel “dopo” … è vicino.
Ecco, invece, un esempio positivo, che ci viene dal Teatro Regio di Torino, che indica che per farsi notare i musicisti non debbono fare altro che fare i musicisti, altro che scioperi!
Fece la fine de l’abbacchio ar forno perchè credeva ar libbero pensiero, perchè si un prete je diceva: – E’ vero – lui rispondeva: – Nun è vero un corno! –
[…] (Trilussa)
Giordano Bruno, ritratto giovanile
Il sonetto bonario e sornione di Trilussa che qui cito è per testimoniare come il solo nome di Giordano Bruno fa scattare immediatamente nella memoria di tutti il ricordo del terribile martirio.
È la prima cosa che tutti ricordano immediatamente, ed è sempre accompagnata, ovviamente, da una vampata di sdegno per l’efferata e ingiustificabile crudeltà dei suoi persecutori.
Dei 52 operosissimi anni della sua vita, la nostra mente corre subito e solamente al rogo, o al massimo, nei più colti, agli ultimi otto lunghi terribili anni di sofferenze in balia dell’Inquisizione, trascorsi nel buio delle prigioni tra interrogatori e torture. Paradossalmente l’esagerato rilievo posto solo verso una fine così orribile non rende affatto pieno onore al personaggio, anzi, rischia di minimizzare il vero Giordano Bruno, uno degli intelletti più creativamente esplosivi della storia, un uomo che incarnò, forse più di ogni altro, l’infinita ricchezza di potenzialità concesse al genere umano. La grandiosità ubiquitaria e pirotecnica di Bruno ci fa capire di avere di fronte non solo un grande genio, ma un vero iniziato, uno che vive fuori dal tempo, e che quindi ha ben altri parametri di riferimento rispetto alla sua epoca. E che Bruno fosse un iniziato lo affermavano i Rosacroce, i massoni, Rudolf Steiner e i teosofi.
Filippo Bruno da Nola, che, assieme ai voti dell’ordine domenicano prese il nome di Giordano, muore il 17 febbraio dell’anno 1600, anno pari, bisestile, che inizia un secolo e ne finisce un altro, un anno simbolico che sembra progettato a tavolino, un anno pure molto importante nella storia (non solo della musica, ma nella storia tout court), perché è proprio in quell’anno che nascono a Firenze l’Opera Lirica e a Roma l’Oratorio; anzi, per straordinaria ulteriore coincidenza, il primo Oratorio della storia, Rappresentatione di anima e di corpo di Emilio de’ Cavalieri, è eseguito per la prima volta e a pochi isolati di distanza, proprio nel terribile momento in cui Bruno sale nudo sul rogo con una mordacchia acuminata che gli strazia la bocca, una sorta di paradossale simbolica colonna sonora per un evento tanto atroce ed efferato.
La ferocia di tale morte e di tale inaudita persecuzione (languì in carcere per otto anni, dal 23 maggio 1592 al 17 febbraio 1600, subendo ripetutamente la tortura) direzionando fortemente la figura del nolano verso il ruolo del martire, l’ha vestito di troppe casacche ideologiche e l’ha arruolato a forza in ogni movimento di opinione libertario o ribelle. Trilussa lo considera tra i combattenti per la libertà di pensiero, ma quasi tutti i movimenti anticlericali e laicisti gli danno la patente di martire della laicità e vittima dell’oscurantismo religioso, altri lo considerano un estremo ricercatore della libertà filosofica, un eroe anticlericale, un panteista incompreso, un protomartire rosacrociano, un neoplatonico perseguitato, la vittima sacrificale dell’arroganza del potere, e qui mi fermo per non infliggere a nessuno la punizione dell’esaustività. Per quanto umanamente comprensibile, ogni casacca, comunque, persevera nel qualificarlo in quanto martire, limitando la figura del genio, di una delle menti più brillanti di tutto il Rinascimento.
Con sommo rincrescimento, io stesso non riesco ad esaminare un personaggio così poliedrico se non prendendone in considerazione un aspetto alla volta e se non interrogandomi di continuo su quali sono le vere motivazioni, le proiezioni, le reazioni, le aspettative che mi inducono a buttarmi su un tema del genere, cercando di individuare quale parte di me va in fiamme quando mi avvicino all’argomento, non solo mentre scrivo ma anche mentre ne leggo testi e documenti.
Come hanno fatto i suoi estimatori, anche i suoi carnefici l’hanno sempre vestito di tante casacche: visto che quella dell’eretico ormai non riceve più comprensione e benevolenza, gli studiosi cattolici cercano di trasformare il frate nolano nell’Anticristo, nell’insidioso e temibile mago, nell’oggetto di una truce ingigantita montatura massonica, nella spia anticattolica intrufolata nell’ambasciata francese di Londra, nello strumento degli illuministi per costruire una cupa leggenda nera anticlericale e antipapista o nella surrettizia arma di diffamazione da sparare in ogni guerra contro il Vaticano. Dobbiamo, comunque, umanamente comprendere che trovarsi dalla parte che la storia ha universalmente considerato sbagliata è sempre cosa imbarazzante, per cui è indispensabile la costruzione di impalcature storiche, logiche e teologiche che impediscano lo sprofondare nei più spaventosi abissi della Colpa, quella assoluta che ha perfino una propria genealogia biblica che conduce da Lucifero a Caino, da Satana a Giuda.
Ma, dal momento che la sorte è spesso ironica, solo grazie ai carnefici sappiamo qualche dato biografico, visto che Bruno nei suoi libri non ama raccontare quasi nulla che lo riguardi. Possediamo al completo l’archivio del processo che l’Inquisizione tenne a Venezia, che è fonte di quasi tutte le informazioni biografiche a noi note, poi il processo fu avocato a Roma, e qui le cose si complicarono in tutti i sensi, anche nel senso che l’archivio dell’Inquisizione romana fu prelevato da Napoleone e portato a Parigi nel 1810 per farlo studiare da storici non clericali. Ma, una volta caduto Napoleone, l’incaricato della Curia pontificia, Marino Marini, negli anni 1815-1819, mandò al macero tutti i fascicoli processuali relativi ai reati comuni, con la scusa che fare ritornare a Roma l’intero archivio sarebbe stato un onere inutile. Guarda caso il fascicolo relativo a Giordano Bruno sparì nel macero parigino senza lasciare tracce. Tuttavia, nel 1940, Monsignor Angelo Mercati, coraggioso bibliotecario vaticano, rinvenne casualmente un Sommario del processo, preparato per un inquisitore che non aveva avuto il tempo di leggersi tutte le carte, e lo pubblicò, permettendoci di conoscere almeno qualcosa, per sommi capi, del tragico epilogo.
Monumento a Campo dei Fiori
Anche in tempi relativamente recenti, dopo che Bruno era già diventato un simbolo universalmente riconosciuto, la chiesa, considerandosi vittima della propria vittima, ha lottato duramente per limitarne la memoria, tanto che l’inaugurazione nel 1889 del monumento bronzeo in Piazza Campo dei Fiori a Roma, voluta da numerosi movimenti laici, realizzata dallo scultore massone Ettore Ferrari, che lo ritrae severo con lo sguardo in direzione del Vaticano, patrocinata dal sindaco di Roma Ernesto Nathan (ebreo e massone), creò numerosi tafferugli tra processioni di cattolici che, salmodiando, brandivano immagini religiose e gruppi di studenti e laici che inneggiavano a Bruno, mentre il Papa Leone XIII rimaneva tutta la giornata immobile, inginocchiato davanti alla statua di S. Pietro pregando contro «la lotta ad oltranza contro la religione cattolica».
In occasione del Giubileo del 2000, quando il Papa volle chiedere perdono per i misfatti storici della Chiesa, in una lettera del 18 febbraio 2000 inviata tramite il Segretario di Stato Card. Angelo Sodano Giovanni Paolo II scrisse che la morte di Bruno «costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico» e un «triste episodio della storia cristiana moderna», tuttavia «il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana». In altre parole: deploriamo il metodo, ma sul merito non c’è nulla da obbiettare.
Alla scoperta di un genio
Capire chi era Bruno è cosa difficile, per cui cerco di andare cauto, ma per cronologia e cultura, posso affermare con certezza che il Nostro rappresenta nella maniera più completa l’ideale dell’uomo rinascimentale, versato e finemente (auto-)educato in tutte le arti e le scienze. Il nolano era di uno straordinario eclettismo, spaziava con estrema competenza in tutte le discipline allora conosciute, con una precisione e una completezza che nessuno poté mai eguagliare. Era teologo, filosofo, matematico, fisico, astronomo, poeta, scrittore, disegnatore, mistico, mago e, in tutti i numerosi campi nei quali si è cimentato, ha sempre raggiunto non solo l’assoluta eccellenza, ma ha quasi sempre superato, rivoluzionato ed ampliato tutte le conoscenze del tempo in ciascuna di queste discipline.
All’eclettismo rinascimentale dobbiamo anche aggiungere delle prorompenti doti naturali di intelligenza, aggiunte a una volontà matura e indomita, una inesauribile tenacia e persistenza nello studio e nell’applicazione. Non dobbiamo dimenticare che è stato il più grande studioso dell’arte della memoria di tutti i tempi: infatti conosceva realmente a memoria qualunque libro leggesse e, quando qualcuno voleva metterlo alla prova, lui era in grado non solo di recitarlo sequenzialmente, ma addirittura di ricordarselo sia in ordine casuale (capitolo – paragrafo – versetto) sia, e questo faceva ancora più stupire, declamandolo dall’ultima parola alla prima. Insomma, era una immensa biblioteca vivente, e, per di più, in continuo ampliamento.
Il nolano, infatti, dopo aver scoperto tutte le tecniche della memoria associativa (già nota anche agli antichi), era arrivato perfino a comprendere come utilizzare in maniera coordinata e bilanciata entrambi gli emisferi cerebrali, raggiungendo risultati ancora oggi insuperati. Ma la straordinaria memoria era solo un punto d’appoggio, uno strumento al servizio di una mente di non certo minor levatura.
Verità e Religione
Un altro aspetto assolutamente evidente nel Nostro è quello di una febbrile ricerca religiosa, ricerca nella quale Bruno mai si è fermato entro i sicuri argini del dogma, delle tradizioni e delle convenzioni, andandosi a cacciare, nella sua forsennata e irriducibile ricerca della Verità, in infiniti pasticci, di gravità sempre crescente con il passare del tempo.
La Verità che Bruno ricerca non è un contenuto, valido ovunque, per tutti e per sempre, ma un cammino, un metodo, uno stile, che non ha più senso né valore quando il cercatore si fermi sui risultati raggiunti; quello che colpisce di Bruno è che secondo lui il cammino non si deve mai fermare, né tanto meno codificare, perché tutto quello che è fermo e codificato è falso.
Questa ricerca richiede onestà, assenza di polemica e, soprattutto, operosità:
«io certissimamente non fingo e, se erro, non credo veramente errare e, parlando e scrivendo, non disputo per amor de la vittoria per se stessa […], ma per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m’affatico, mi crucio, mi tormento.» (De l’infinito, universo e mondi. Proemio)
Insomma, già queste premesse lo mettono in totale incompatibilità con la religione basata su verità rivelata e principi immutabili ed eterni, eppure lui inizia la sua ostinata ricerca partendo proprio dalla religione, e, per tutta la vita, non accetterà mai il concetto di religione che si contrappone alla Verità: perfino in vicinanza del rogo ha sempre avuto l’aspettativa e la fiducia che gli uomini che dicono di cercare Dio vogliano prima o poi riconoscere sia la Verità sia l’onestà del suo cammino.
Già a 14 o 15 anni entra nel nel Convento di S. Domenico Maggiore a Napoli, a 17 anni diviene novizio, a 18 professo e a 25 sacerdote, a 27 Dottore in Teologia con due tesi su Pietro Lombardo e S. Tommaso. La scelta dell’ordine domenicano, racconterà agli inquisitori, era dovuta al fatto che l’ordine consentiva e addirittura incoraggiava il dedicarsi agli studi, particolarmente quelli filosofici e teologici. E, tra i tanti paradossi della storia, era proprio l’ordine domenicano quello che aveva il compito di tutelare l’ortodossia, perseguire gli eretici e formare gli inquisitori. In quel convento Fra’ Giordano, oltre a diventare dottissimo (mandando a mente tutta la ricchissima biblioteca che aveva a disposizione), cominciò a leggere Erasmo da Rotterdam, autore messo all’indice, e un giorno si permise di affermare a un religioso che l’eretico Ario non aveva poi tutti i torti, citandone con precisione numerosi passi, e infine fece piazza pulita di santi, santini, reliquie, madonne e libercoli devozionali, non accettando nella sua cella nient’altro che un crocifisso. Precoce in tutto, già a 28 anni è sospettato di eresia, anche se, per questa volta, riesce ad evitare conseguenze scappando da Napoli a Roma.
A 31 anni, a Ginevra, si fa calvinista, ma, a causa della sua intolleranza ad ogni limitazione alla ricerca della Verità, viene processato e scomunicato dopo brevissimo tempo. In seguito, nelle sue varie peregrinazioni, in Germania si fa luterano, ma anche qui viene scomunicato. Tra i tanti primati accumulati nella sua vita, c’è anche quello di essere l’unico che sia riuscito a farsi scomunicare da tutte e tre le principali confessioni cristiane europee; a dire il vero gli mancò solo una scomunica dalla chiesa anglicana nel periodo in cui soggiornava in Inghilterra, ma questo non fu dovuto affatto a mancanza di zelo, visto che comunque suscitò le sue brave feroci reazioni dei benpensanti, ma solo al fatto che tale confessione era ancora nella fase iniziale di costituzione e non aveva ancora sufficientemente organizzato le proprie procedure espulsive e persecutorie.
Insomma, l’atteggiamento di Bruno di fronte alle religioni organizzate mi ricorda vivamente due celebri affermazioni di Jiddu Krishnamurti, e cioè che «chi segue una dottrina non segue la Verità» e, quella ancora più famosa, che «la Verità è una terra senza sentieri».
Eppure non fu mai un nemico della religione, anzi, per lui tutto ciò che esiste è la divinità stessa, divinità che, come spiega negli Eroici Furori, si può conoscere in due modi: con approccio mentale o con approccio mistico. Per Bruno solo il primo approccio è consigliabile, perché coloro che utilizzano il secondo sono simili all’«asino che porta i sacramenti».
L’artista
A chi gli chiedeva chi era, Bruno spesso faceva capire che si sentiva un artista. Definiva perfino Dio come un artista. Parlando delle persecuzioni contro le sue idee, sosteneva che le Muse, libere per diritto naturale,
«sono invece, in Italia e in Spagna, conculcate dai piedi di vili preti, in Francia patiscono per la guerra civile rischi gravissimi, in Belgio sono sballottate da frequenti marosi, e in alcune regioni tedesche languono infelicemente».
Un’artista poliedrico, come pure ogni suo aspetto era a sua volta poliedrico, anche se l’aspetto dell’artista è quello che viene meno considerato da tutti i suoi studiosi. Non dobbiamo dimenticare neanche che nel 1579 si laurea in “maestro delle arti” a Tolosa. Scrisse dei testi di splendida narrativa, per esempio la commedia «Il candelaio» infarciti, come è ovvio, di speculazioni filosofiche, ma questo era il suo stile personale ed era pure una moda del tempo. Scrisse anche moltissime poesie, che mostrano un notevole talento. Ci mostra anche di possedere un fine umorismo, anche se la caratteristica principale di Bruno artista è lo struggimento incessante, il dibattersi un un mondo duale e oppositivo cercando una sintesi, tanto più difficile da trovare quanto più cercata fino allo spasmo.
Trovo la seguente poesia molto più illuminante di qualsiasi altra mia descrizione:
Illustrazione fatta da Bruno
Questa mente ch’aspira al splendor santo, Tant’alti studi disvelar non ponno; Il cor, che recrear que’ pensier vonno, Da guai non può ritrarsi più che tanto; Il spirto che devria posarsi alquanto D’un momento al piacer, non si fa donno; Gli occhi ch’esser derrian chiusi dal sonno, Tutta la notte son aperti al pianto. Oimè, miei lumi, con qual studio ed arte Tranquillar posso i travagliati sensi? Spirto mio, in qual tempo ed in quai parti Mitigarò gli tuoi dolori intensi? E tu, mio cor, come potrò appagarti Di quel ch’al grave tuo suffrir compensi? Quand’i debiti censi Daratti l’alma, o travagliata mente, Col cor, col spirto e con gli occhi dolente?
Il grafico
Pochi conoscono anche l’attività di Bruno come grafico. Eppure tutti i libri che sono stati pubblicati con la sua diretta supervisione sono pieni di sue illustrazioni xilografiche, non comuni illustrazioni descrittive, come immagini o paesaggi, ma schemi logici, simboli geometrici, forme astratte, poliedri e altre immagini nelle quali, se non teniamo l’immaginazione sufficientemente a freno, scorgiamo perfino dei mandala.
Lo scienziato
Come scienziato Bruno condivide tre questioni importanti con Galileo. La prima è costituita dal comune Inquisitore che emise la sentenza, cioè il cardinale gesuita Roberto Bellarmino, il quale, proprio a causa di tali clamorose condanne, fu proclamato non solo santo (da Pio XI nel 1930), ma addirittura dottore della chiesa (l’anno seguente), come ripicca ecclesiastica sia per la mancata rimozione del monumento a Bruno, sia per la fama di martiri che Bruno e Galileo avevano assunto; la seconda questione è che tra le affermazioni di cui veniva chiesta l’abiura c’era il sistema Copernicano, la terza è che Galileo prese a prestito molte idee di Bruno senza volerlo ammettere, cosa che Keplero gli rimproverò.
Per il resto il percorso dei due illustri personaggi è molto diverso, direi opposto. Galileo abiurò solennemente in ginocchio tutto quello che aveva affermato e così si salvò la vita e le pene furono mitigate ad una sorta di arresti domiciliari, considerata anche l’età, con la presenza della figlia a dargli conforto, mentre Bruno, in un primo momento, essendo stato più volte torturato, pensò pure lui di abiurare per salvare la pelle, ma piano piano ritornò sui suoi passi e, in pratica si rifiutò coscientemente, pur sapendo benissimo che in tal caso il rogo era l’unico possibile esito; insomma, il martirio lo scelse deliberatamente.
Secondo la notizia pubblicata su l’Avviso di Roma del 19 febbraio 1600:
“Et diceva che se ne moriva martire e volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso“.
E alla lettura della sentenza, secondo l’umanista tedesco Kaspar Schoppe, che ne fu testimone oculare, Bruno esclamò:
«Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla»
Il metodo di Bruno scienziato era il metodo intuitivo, della conoscenza interiore diretta, metodo sempre molto bistrattato dalla scienza positivista, anche dopo che Albert Einstein ne fu il massimo esponente del novecento e produsse i risultati rivoluzionari che tutti ammiriamo. Metodo opposto a quello galileiano, basato sull’osservazione del mondo esterno, e incompatibile, soprattutto, col metodo che fin allora andava per la maggiore, per cui si potevano solo fare delle deduzioni a partire dai testi considerati autorevoli, principalmente la Bibbia e Aristotele.
Tuttavia, la finalità della scienza è la comprensione dell’uomo:
“Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo, non servirà all’uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro l’uomo.“
Fra’ Giordano non cesserà mai di stupirci: mentre Galileo abbracciava (prima dell’abiura) il sistema Copernicano, Bruno lo superava, nel senso che affermava che il sole era sì al centro, ma non dell’universo, bensì del solo sistema planetario, che nessuna stella si trova al centro dell’universo, ma ognuna è centro del suo cielo nel suo sistema e che esistono infiniti sistemi planetari con un sole al centro e dei pianeti attorno, ma di tutti questi sistemi si può osservare solo la stella centrale perché i pianeti non emettono luce. Dal movimento delle comete ricavò la prova, prima di Tycho Brahe, che non solo che le sfere fisse non esistono, ma anche che non si trattava di sfere di cristallo.
Sosteneva che Saturno non era l’ultimo pianeta del sistema solare ma che ce ne erano altri dopo di lui, che la velocità di rotazione dei pianeti è proporzionale alla distanza dal sole, che la vita è possibile anche su altri pianeti, che i pianeti hanno un’orbita ellittica e che la terra è appiattita ai poli: insomma, fu il primo in assoluto a intuire la costituzione del cosmo!
Ben prima di Newton aveva intuito la legge di gravitazione e comprese pure che tutti i corpi celesti ruotano attorno al proprio asse:
“i corpi si muovono liberamente nello spazio e si mantengono nella loro reciproca posizione grazie alla forza di attrazione. I soli si muovono attorno al loro asse, e oltre questo si ha un movimento nello spazio”.
Rimase estasiato quando il matematico salernitano Fabrizio Mordente, conosciuto a Parigi, gli mostrò la sua ultima invenzione: uno strano compasso ad 8 punte, che forse gli avrebbe consentito di confermare e sviluppare le sue teorie atomistiche e, in particolare, dimostrare la presenza di un minimo assoluto assimilabile all’atomo, che Aristotele negava con decisione.
Personaggio europeo
Seguendo l’affermazione che:
«Al vero filosofo ogni terreno è patria»
Bruno ha viaggiato incessantemente in tutta Europa, suscitando ovunque entusiasmi e meraviglie, insegnando nelle più prestigiose scuole e università di tutte le città ove mise piede, facendosi, però, regolarmente cacciare dopo pochi mesi dalle stesse scuole e università per le sue idee esageratamente rivoluzionarie per quei tempi. Dopo Napoli e Roma approda in Liguria (Noli, Savona e Genova), poi a Torino, Venezia, Padova, Bergamo, Savoia (Chambéry), Ginevra, Lione, Tolosa, Parigi, Oxford, Londra, Magonza, Wiesbaden, Marburg, Wittemberg, Praga, Tubingen, Helmstedt, Francoforte, Zurigo, Marburg. In molte di queste città ritorna più volte. Le cattedre che ottenne, ovviamente, erano di tutte le possibili discipline (teologia, filosofia, matematica, astronomia, fisica) visto che brillava ed eccelleva in ciascuna, e ovunque andasse trovava modo di pubblicare qualche libro guadagnando incondizionata fiducia e simpatia di ricchi personaggi che lo retribuivano per l’opera e si accollavano i costi della stampa. Salvo che, magari pochi mesi dopo la pubblicazione, qualche religioso venisse in possesso di qualche sua opera, ne ravvisasse profondi contenuti ereticali e facesse partire una campagna persecutoria contro di lui, costringendolo a fuggire. Sempre così, incessantemente, regolarmente, con cadenza mediamente semestrale.
Insomma, una mente troppo avanzata affascina sì, ma sconvolge, e al contatto con menti più limitate, ristrette ed attaccate ai vecchi immutabili dogmi non può che creare violente reazioni espulsive; il mondo intero non era pronto per un rivoluzionario come Bruno, non soltanto la Chiesa Cattolica romana che lo perseguitò con maggiore solerzia. Si badi bene che Bruno non si poneva con arroganza, antagonismo o aggressività particolari: semplicemente esponeva e sosteneva le sue teorie con entusiasmo, e non poteva certo farlo senza confutare precedenti teorie vecchie e stantie. Il compito degli innovatori è questo. Confutava pure se stesso, visto che col passar del tempo approfondiva argomenti e temi fino a capire e a indicare pubblicamente le falle delle cose che precedentemente aveva pubblicato, sempre in sintonia col suo processo di Verità che impone di superare e trascendere costantemente anche le proprie idee.
Teologo e filosofo
Visto che la qualifica principale di Bruno è quella del filosofo, proprio questo settore è di gran lunga il più complesso da sintetizzare, in quanto il suo pensiero è esageratamente ricco. Tra le tante cose che possiamo dire di lui è che cerca di combattere i dualismi (anima e corpo, spirito e materia, ecc.) conciliandoli, in quanto ogni elemento afferente al dualismo è presente nel suo opposto. Basta la seguente affermazione per avere un’idea di questo processo e per avere grandi spunti di riflessione:
L’uomo non contempli senza azione e non operi senza contemplazione.
Va fatto notare che mentre i filosofi occidentali producono soltanto degli scritti e dei pensieri, ma la loro vita ha poco o nulla a che fare con la loro stessa filosofia (da quali atteggiamenti di vita si riconosce l’aristotelico o il kantiano?), e nel mondo orientale la distinzione tra filosofia e vita non esiste (facilmente riconosciamo un seguace dello Zen, del Taoismo o dei Vedanta), Bruno è stato l’unico filosofo occidentale che abbia testimoniato (letteralmente fino alla morte) la sua filosofia.
Sulla Verità Bruno abbracciò il principio della doppia verità (che fu argomento chiave anche per Galileo, pur se con impostazione molto diversa), ovvero che il popolo, la gente comune, ha bisogno e diritto di poter credere ad alcune cose, dai dogmi al purgatorio, dalla miracolistica agiografica alla cupoletta di stelle incastonate, credenze necessarie ad un’umanità bambina che ha bisogno di relazionarsi con un’autorità religiosa che fornisca semplici classificazioni del bene del male con semplici aspettative di premi e punizioni celesti. Ma rivendicava anche la possibilità di una ricerca personale della verità che potesse esulare da questo stadio infantile e permettesse di conciliare anche la libera ricerca delle coscienze più evolute, coscienze che potessero accedere ad un altro binario ugualmente degno e valido. Manco a dirlo questo fu l’elemento chiave che precipitò la condanna per eresia.
Il nolano era un convinto sostenitore della reincarnazione, dell’evoluzione umana, dell’unità di tutto ciò che esiste nell’universo, e del fatto che ogni cosa esistente, materia compresa, sia dotata di una sua forma di vita. Sosteneva che la divinità fosse immanente e che questa fosse il legame che congiunge tutto, e che l’intera umanità è totalmente interconnessa in questa divina immanenza. Un numero elevato di studiosi nota con sconcerto la vicinanza di Bruno con il buddismo, e, personalmente, non posso che concordare.
Sosteneva anche che:
“La morte è il dissolversi dei vincoli, tra il corpo composto da atomi e il corpo diafano e trasparente che è l’essere sustanziale.”“…Chi perciò consistendo nel luogo e nel tempo, libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti divini…”
Tra le tante competenze di Fra’ Giordano c’era pure la magia: conosceva perfettamente il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto e i testi di Paracelso. Gli studi più recenti hanno indagato a fondo sulla sua frequentazione di gruppi esoterici e scrisse pure diversi libri di argomento magico.
Solo che la magia per Bruno non consisteva nel fare quei prodigi che il volgo si aspettava, ma nel magnetizzare gli eventi e la materia con la forza del pensiero.
“Non è la materia che genera il pensiero… è il pensiero che genera la materia.”
Concludendo, Bruno è un personaggio che lascia sconcertati tutti noi, oggi, che ci siamo scrollati di dosso i dogmi della Chiesa e la scienza aristotelica. Come poteva non sconvolgere coloro che vivevano quasi mezzo millennio addietro? Ma ci lascia sopratutto ammirati, affascinati, rapiti. Il suo coraggioso sacrificio ha aperto grandi strade, ha illuminato molte menti, ha acceso importanti riflessioni. Ma, come tutti i grandissimi, ha ancora molto da darci, perché coloro che lo studiano non sono ancora arrivati compiutamente alla grande svolta di considerarlo non solo un martire ma, e soprattutto, un genio universale.
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