Quali auguri per quali feste

Gli auguri hanno da lungo tempo perso il senso cerimoniale a cui erano collegati e le feste hanno perso il significato di accoglienza presso il proprio focolare (festa viene dal sanscrito vastya che significa, appunto, focolare). Ormai i primi si sono ridotti ad un duello verbale (non fosse mai che uno si permetta di dirmi “tanti auguri” senza che io contraccambi immediatamente gareggiando in iperboli, tanto le parole non costano nulla), le seconde si sono ridotte a mangiate pantagrueliche basate su menu imposti dalle convenzioni sociali. Continua a leggere

Si può riformare il pensiero?

Ho avuto sussulti di gioia leggendo le proposte del grande pensatore francese Edgard Morin riguardo ad una necessaria ed urgente riforma del pensiero.

In questo periodo storico si ciancia copiosamente (e a vanvera) di riforme delle istituzioni, per ottenere, nel migliore dei casi, il risultato di dovere presto riformare le riforme, come se migliori istituzioni migliorassero gli uomini. È vero, invece, l’esatto contrario.

Fatto sta che, con il modo con cui si è pensato finora, l’umanità non potrà andare molto avanti, perché continua a ruminare sempre le stesse cose con delle premesse e delle conseguenze che non possono più portare da nessuna parte. Occorrono non soltanto idee nuove, ma anche nuove strutture del pensiero, senza le quali qualsiasi idea che non sia vecchia verrebbe automaticamente scartata all’origine.

Purtroppo, visto che nessuno ci ha mai insegnato a pensare, nessuno ci ha mai detto che il pensiero è uno strumento che può essere potenziato e migliorato, e la conseguenza di questo è che la più grande ricchezza disponibile per il genere umano è sempre stata abbandonata al più rozzo spontaneismo.

Perfino la Filosofia, che avrebbe dovuto essere la scienza del pensiero, è diventata una scienza dei contenuti dello stesso, organizzati, almeno in occidente, secondo canoni storici e con un impatto pressoché nullo sulla vita delle persone (da cosa si riconosce un seguace di Kant o di Leibniz?).

Il pensiero propriamente scientifico, per potere arrivare ai risultati splendidi che la scienza sta ora raggiungendo, ha dovuto affrontare una rivoluzione radicale di se stesso, di cui riassumo alcuni particolari che mi balzano di più all’occhio:

  1. il passaggio dalla certezza della verità scientifica alla relatività (perfino in concetti apparentemente intoccabili come il tempo e lo spazio)
  2. il passaggio dal determinismo alla meccanica quantistica, cioè a una visione probabilistica del mondo fisico
  3. il concetto che l’osservatore influenza sempre e comunque l’osservazione in maniera così massiccia da rendere molto labili i confini tra il mondo interno e quello esterno
  4. l’introduzione del concetto di serendipità, cioè l’accettazione che il risultato sia completamente differente da ciò che si andava cercando, ma non per questo meno importante (per esempio: Colombo cercava una strada alternativa per le Indie e scoprì l’America)
  5. la rivoluzione del concetto di causalità, abbandonando le vecchie definizioni proposte dalla filosofia e dalla epistemologia per accettare forme di casualità nuove e inattese (ad esempio l’entanglement, o coincidenza quantica, ed il concetto di causalità retroattiva)
  6. Il passaggio dal concetto di corpo fisico al concetto di campo di cui un corpo fisico è una delle possibili espressioni

Purtroppo, la maggior parte dell’umanità non solo non conosce nulla riguardo al moderno pensiero scientifico, ma, ancora polarizzata sull’emotivo, riesce a concepire quasi solo pensieri reattivi o comunque dominati dalla sfera emotiva. Per esempio: se una cosa è spiacevole facciamo il contrario (cioè reagiamo). Purtroppo questo meccanismo funziona solo con semplici problemi di primo livello, ma se i problemi sono di un livello superiore (le parti che ne danno adito risiedono su piani differenti), le soluzioni possono divenire peggiori del problema stesso. Un esempio evidente è costituito dal problema della droga che più severamente è vietata, più aumenta di prezzo, più diventa lucrosa, più si diffonde.

Morin afferma, tra le tante cose, che il pensiero deve:

  1. riconoscere i propri limiti (del pensiero stesso) e i propri schemi aprioristici e fuorvianti
  2. capire che i problemi complessi hanno soluzioni complesse e ampie che richiedono la conoscenza dell’intero ambito di pertinenza, il riconoscimento della loro complessità e non sono sintetizzabili in facili slogan
  3. considerare, in ogni ricerca di soluzione, sia l’appartenenza alla condizione umana, sia l’appartenenza alla civiltà planetaria sia la consapevolezza dell’identità terrestre
  4. accettare le incertezze e le imprevedibilità e saperle affrontare
  5. volgersi ad una comprensione che riguardi l’intero genere umano e consideri l’etica come il destino del pianeta

Molti altri studiosi si sono occupati del pensiero, tra questi va ricordato Paul Watzlawick, che propose una serie di tecniche per potere trasformare i paradossi (che bloccano la nostra vita) da problemi in risorse, e Eduard de Bono, che inventò il cosiddetto pensiero laterale, ovvero un approccio non diretto al problema da risolvere.

La più grandiosa, comunque, rimane la visione di Morin, anche se, nel mio piccolo, avrei delle aggiunte da proporre:

  1. prendere piena coscienza di moventi, mezzi e obbiettivi, purificarli e armonizzarli tra loro
  2. considerare sempre tutti i piani della realtà, compresi quelli sottili, e tenere conto che ogni soluzione deve collocare i propri oggetti nel giusto piano
  3. capire che la vera soluzione di ogni problema importante può avvenire solo spostandosi nel mondo delle cause; analogamente agli scienziati, occorre evolvere il concetto di causalità fino a comprendere tutti i fenomeni e i piani di esistenza, quindi anche i piani sottili
  4. considerare il pensiero come un piano a se stante dell’essere, i cui servigi sono limitati ai piani ad esso inferiori ed, entro certi limiti, al suo stesso piano, ma non può interferire con i livelli superiori (già S. Agostino propose il concetto di “gradi della ragione”)
  5. considerare che il pensiero è uno strumento vero e concreto che crea delle forme vere e concrete. Finché penseremo che i politici sono tutti disonesti e corrotti, i politici saranno tali, anche perché qualora uno non lo fosse non sarebbe riconosciuto come possibile politico.

È ovvio che ognuno potrebbe aggiungere, ampliare e chiosare, ma non è questo il punto. Se non evolve il pensiero umano, la stessa civiltà presente non è affrontabile. Se non consideriamo possibile un cambiamento dei paradigmi del pensiero è un’impresa disperata tenere testa alla tecnologia, alla globalizzazione, al multiculturalismo, all’allungamento della vita umana, all’aumento dei gaps generazionali, alle rapidissime trasformazioni degli stili di vita e della società.