Quel pasticciaccio brutto della verità

Ogni giorno assistiamo al rintuzzare delle più feroci polemiche di estremismi, fondamentalismi, giustizialismi, bipolarismi e di tutti gli altri -ismi possibili, che, come tutti possono sperimentare, sono portatori di immensi conflitti.
Pare impossibile riuscire a convivere non solo tra i popoli che abitano questo pianeta piccolo e affollato, ma perfino tra gli abitanti dello stesso condominio e tra i membri della stessa famiglia.
La causa principale di ogni discordia è la profonda convinzione che esita una verità, di cui ciascuno si sente rigorosamente apostolo e testimone, e che questa verità sia pure unica.
Ogni volta che uno crede che esista un’unica verità ecco che gli altri non contano più nulla, diventano subito nemici da schiacciare, perché ostacolano, controbattono, polemizzano, criticano, dubitano, esitano, invece di prostrarsi di fronte alla verità sovrana ed al suo apostolo.
Ma come è possibile accettare un punto di vista opposto al nostro, credere che ciò che per noi è assolutamente vero per un altro non lo sia affatto? Tutti credono che sia facilissimo, e ciascuno è convinto di essere un autentico campione di accoglienza delle opinioni altrui.
Invece è tutto l’opposto, è una cosa difficilissima, anche se tutti crediamo di essere straordinariamente accoglienti e tolleranti, visto che abitualmente misuriamo la nostra tolleranza sulla base di questioni di cui ci importa molto poco, raggiungendo fin troppo facilmente il massimo del punteggio.
E’ sulle questioni importanti che è quasi impossibile essere tolleranti, sulle cose che ci toccano da vicino, sulle cose che ci fanno male o che costituiscono il nucleo fondante delle nostre più profonde credenze.
Infatti, quando più si toccano convinzioni profonde tanto più si è disposti a tutto: ad ogni sacrificio, gesto o azione, perfino a morire e ad uccidere.
Quante persone nella storia sono morte per difendere le proprie idee? La storia li chiama eroi, ma cosa li differenzia dai fanatici? Un terrorista kamikaze fa esattamente le stesse cose dell’eroe, solo le idee sono diverse.
Le religioni, la politica, la società, i movimenti associativi e culturali sono strenui sostenitori dell’esistenza di una verità unica che presentano sempre sotto forma di questioni di principi inderogabili, di valori altissimi e supremi.
Tutte le guerre e le persecuzioni della storia sono state fatte in nome di Dio, della Patria, della Natura, della Libertà, della Giustizia, degli ideali più alti concepibili.
Più sono alti gli ideali più è alta la violenza che li deve sostenere ed imporre.
Perfino l’innocente convinzione che “se tutti si comportassero così il mondo sarebbe migliore” è un preciso estratto di pensiero totalitario.
Perfino il pacifismo è un movimento violentissimo, che comporta scontri, spesso anche sanguinosi, lotte e conflitti, città messe a ferro e fuoco, come la cronaca quotidiana ci racconta.


Ma quand’è che diventiamo veramente violenti? Questo avviene, generalmente, quando sono in gioco i nostri valori e i nostri ideali. Per quelli siamo disposti veramente a tutto.
E quindi solo chi non ha valori è tollerante? Tutt’altro; anzi, chi non ha valori è straordinariamente violento.
Allora: quand’è che sentiamo in crisi i nostri valori e i nostri ideali? Quando noi siamo completamente identificati con essi, tanto che, se questi ideali crollano ci sentiamo crollare noi stessi. Finché non capiremo che abbiamo degli ideali ma non siamo i nostri ideali, se i nostri ideali crollano noi possiamo vivere ugualmente benissimo, saremo sempre e per tutta la vita sul piede di guerra.
E quello è un piede che puzza da sempre di un tanfo insopportabile.

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